SIGI: confusione e responsabilità, le tappe del fallimento del Catania

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Il Calcio Catania 1946 è fallito. Responsabilità che grava anche sulle spalle della Sigi. L’attuale proprietaria del club ha infatti contribuito ad affossare ulteriormente il già precario destino della matricola 11700 attraverso decisioni, dichiarazioni ed una gestione economico-aziendale molto confusionarie. Il prolungato stato di insolvenza, oltre alla mancanza di garanzie solide e di un piano industriale, è risultato determinante affinché il Tribunale accogliesse l’istanza di fallimento promossa dalla Procura, ponendo così fine a 75 anni di storia calcistica.

Purtroppo gli errori commessi dalla controllante delle azioni del sodalizio rossazzurro sono stati molteplici, a cominciare dall’allontanamento del progetto iniziale promosso dal dottor Pagliara che prevedeva un modello economicamente più equilibrato, con un tetto azionario massimo del 33% per ciascun socio e la partecipazione attiva da parte della tifoseria attraverso l’azionariato diffuso (un po’ come accade usualmente in Germania o in altre realtà calcistiche europee). L’arresto di alcuni esponenti dell’allora “Comitato di acquisizione del Calcio Catania” ha però cambiato le carte in tavola, facendo naufragare l’ipotesi originaria e riversandosi verso un modello più “tradizionale” ma, considerando la massa debitoria, sicuramente meno sostenibile. La mancata conferma di Fabio Pagliara nella SIGI e l’accentramento di tutte le quote azionarie sui 24 imprenditori locali coinvolti nel progetto, è stato il primo di una lunga serie di errori.

Da quando il 23 Luglio 2020 la Sport Investment Group Italia ha rilevato dall’asta competitiva il Calcio Catania S.p.A., si è assistito troppo spesso ad una gestione molto approssimativa ed improvvisata, senza ideare un vero e proprio piano di rilancio e risanamento, sviluppando iniziative poco lungimiranti e prive di chiarezza, ma soprattutto basando parte del proprio percorso economico sul contributo di finanze esterne. Ovviamente nessuno ha mai preteso che gli imprenditori della SIGI fornissero al Calcio Catania più liquidità di quella posseduta, ma semplicemente che elaborassero un processo di rinascita serio che avrebbe potuto proiettare nel futuro la 11700. Oltre all’assenza di un manager importante che riuscisse a gestire e riunire tutti i soci verso un obiettivo comune, anche l’andamento della trattiva con Joe Tacopina è apparsa abbastanza discutibile, visti gli atteggiamenti e le dichiarazioni troppo ottimistiche verso un esito positivo che poi puntualmente non si è materializzato.

Sicuramente si è sottovalutata troppo la tempistica per la rimodulazione del debito sia con l’Agenzia delle Entrate che con il Comune di Mascalucia. La pecca più grande è stato l’eccessivo risalto mediatico dato alla trattativa, annunciando quasi per certo il passaggio di proprietà quando nella realtà dei fatti ancora non sussistevano i requisiti fondamentali ed illudendo così i tifosi. Oltre a ciò non possono essere dimenticate le tante dichiarazioni menzognere e contraddittorie di parte della SIGI che di fatto sono state intese come delle prese in giro nei confronti della piazza catanese. Come scordare le difficoltà ai fini dell’iscrizione al campionato ’21/22 (con il contributo richiesto ai tifosi attraverso una frettolosa e poco chiara raccolta fondi) dopo aver rassicurato tutti sulla certa partecipazione al torneo?

Come se non bastasse la spaccatura interna creatasi in questi mesi ed i capricci fanciulleschi di alcuni imprenditori non hanno fatto altro che il male del Catania, contribuendo al mancato rispetto delle scadenze federali ordinarie, con conseguenti punti di penalizzazione, ed all’assenza di una ricapitalizzazione che potesse allontanare lo spettro del fallimento (emblematiche in tal senso le tante riunioni organizzate e puntualmente posticipate per l’assenza di alcuni esponenti, tra i quali persino l’azionista di maggioranza). Quando quasi un anno e mezzo fa gli imprenditori catanesi si imbarcarono in questo progetto imprenditorialmente folle, si parlò di eroismo e “atto d’amore per il Catania“. A distanza di 18 mesi però è più realistico pensare che l’idea originaria fosse quella (pur sempre legittima quando si parla di business) di acquistare il club rossazzurro ad un prezzo più basso, rimodulare parte del debito, e poi rivendere l’Elefante ad una quota più alta.

Purtroppo, a parte quella del broker statunitense, nessun’altra manifestazione d’interesse è mai sfociata in una vera e propria trattativa, lasciando così i soci del sodalizio di Via Magenta a dover amministrare un’azienda in palese dissesto finanziario. Adesso che ormai il danno è diventato irreparabile, l’unica possibilità per garantire un briciolo di continuità storica è dare la possibilità al Tribunale di estendere l’esercizio provvisorio (permettendo così la vendita del titolo sportivo) restituendo il credito di 600.000 euro che il Calcio Catania vanta nei confronti della stessa SIGI. Sarebbe un atto dovuto nei confronti del Catania e della sua tifoseria, umiliata, maltrattata e sbeffeggiata ma sempre follemente innamorata dei propri colori e presente.

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