EX ROSSAZZURRI – Beppe Mosca: “Catania, vi racconto l’anno in cui tornammo tra i professionisti. Un gruppo di uomini veri”

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Giuseppe Mosca

13 maggio 1995. Il Catania vinse 3-0 a Gangi tornando tra i professionisti. Dopo mesi di tensione il popolo rossazzurro potette tirare un sospiro di sollievo, grazie ad un gruppo di uomini veri capaci di lottare su qualsiasi terreno di gioco. Tra questi il bomber Giuseppe Mosca, entrato nel tabellino dei marcatori praticamente ovunque abbia giocato e grande protagonista con la maglia del Catania. Spesso abbiamo il piacere di sentirlo. Poco tempo fa si espresse ricordando le emozioni vissute in quarta serie in rappresentanza dei colori rossazzurri. Rilanciamo proprio alcune delle dichiarazioni salienti rilasciate da Beppe Mosca ai microfoni di TuttoCalcioCatania.com:

“Noi iniziammo la stagione con Mosti in panchina, bandiera del Catania in Serie A. Una bravissima persona, ma i risultati non arrivavano. Poi andò via e gli subentrò Busetta. Mi martellava, mi rompeva le palle e lo faceva per stimolarmi. Riusciva a trasmettere il suo carattere alla squadra. Siamo diventati un gruppo vincente. A conferma che la piazza di Catania ha bisogno di un allenatore sanguigno, altrimenti la gente ti mangia. Noi avevamo giocatori con le palle quadrate. Il Milazzo aveva non so quanti punti di vantaggio in classifica e allora c’era la legge dei 2 punti. Loro vincevano sempre, c’era anche Pannitteri in quello squadrone. Per poterli raggiungere e superarli abbiamo dovuto fare 15 vittorie consecutive e non abbiamo più perso con Busetta, in più vincemmo lo scontro diretto a Milazzo. In quel campionato c’era anche il Potenza, campo mai facile da espugnare. Vincemmo lì, ad Agropoli il campo sembrava una spiaggia di Copacabana…”.

“Abbiamo raccolto tutti i sacrifici fatti durante l’anno, vivendo qualcosa di bellissimo che ci siamo guadagnati con le unghie e con i denti. Io ho giocato per due mesi con l’infiltrazione al piede per una mini frattura. Ricordo un gol contro la Rossanese quando allungai la gamba, poggiai il piede per terra e sentì un dolore che ancora oggi non dimentico. Eravamo senza campi, senza sede. Non avevamo niente, un magazzino, una lavatrice ma conquistammo quel che abbiamo meritato. Abbiamo fatto grossi sacrifici quell’anno, era un giocattolo che poteva scoppiare da un momento all’altro. Eravamo attaccati al Milazzo che andava a gonfie vele, costruito per vincere. Bastava una sconfitta e ci mandavano tutti a casa. Solo la prima vinceva e non c’erano i play off. Noi all’intervallo di Milazzo perdevamo 1-0, sapevamo già che a fine partita i migliori sarebbero stati mandati via. Siamo entrati in campo nella ripresa ribaltando il risultato su un campo in cui c’erano 2/3 mila catanesi e la partita fu trasmessa in diretta televisiva in tutta la Sicilia. Raccogliemmo i frutti tra un milione di difficoltà. Tutti i giocatori si calarono nella realtà, molti dei quali di categoria superiore. Gente che mica diceva ‘Fatemi allenare sull’erba, se no non gioco’. Quando non vincevi, scendevamo dalle macchine per dare spiegazioni ai tifosi nonostante calci e pugni. Non c’erano controlli, ma il nostro spogliatoio non temeva nulla. All’epoca fecero di tutto per eliminare il Catania, che non era ben visto. Massimino fu fortunato ad avere allestito un gruppo di uomini veri”.

“Quell’anno avevo i preparativi per il matrimonio. Non ero molto convinto di scendere di categoria ma poi vidi una partita del Catania al Cibali, lo stadio pieno e non ci pensai due volte ad accettare. Quel campionato significò ripartenza per me, poi infatti ebbi molte richieste per tornare in C1. Dopo Catania feci Triestina, Spal, Savoia vincendo una Coppa Italia di C ed il campionato di C1 con il Savoia, disputai la finale con la Maceratese, con il Trapani. Catania fu un trampolino per ripartire. Ho girato tantissime squadre, Catania è una piazza non facile ma se le cose vanno bene non ha eguali. Ti fa sentire calciatore vero. Fortunatamente avevamo un gruppo umile, poche chiacchiere e tanti fatti. Non c’erano giocatori tatuati, con gel e cremine in faccia e chi scese di categoria non aveva la puzza sotto il naso. Io ho giocato due mesi con le infiltrazioni, finì il campionato con una frattura al piede ma sapevo che per il Catania dovevo dare tutto fino all’ultima goccia di sudore”.

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