venerdì, 7 Novembre 2025
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EX ROSSAZZURRI – Gomez: “Orgoglioso di avere vestito la maglia del Catania. I tifosi mi fermano ovunque. Vissuti tre anni meravigliosi”

Ospite di Melior de Cinere Cunto, il podcast di Gianpaolo Pasqualino, l’indimenticato ex calciatore del Catania Alejandro Gomez torna sulle tappe che lo hanno portato in Sicilia e l’esperienza vissuta in maglia rossazzurra, svelando anche qualche aneddoto e confermando il suo legame rimasto intatto con la città dell’Elefante:.

Sono stato sempre un grande tifoso del calcio italiano, da bambino la domenica mi svegliavo presto per seguire la Serie A. Del Piero e Totti sono stati sempre miei idoli. Era il mio sogno giocare in Serie A. In occasione di una partita, San Lorenzo-Independiente, Lo Monaco disse che dopo avermi visto fare un recupero difensivo vicino alla nostra area di rigore si convinse a prendermi. Io però litigavo sempre con Simeone perchè quando arrivai al San Lorenzo mi faceva fare tutta la fascia, a me non piaceva. Poi l’ho ringraziato quando mi fece notare che, un giorno, in Europa mi sarei dovuto abituare. Ha avuto ragione”.

“Il mio volto nel murales dello stadio Massimino? Senza l’apporto dei compagni questo non sarebbe successo. Tutti mi hanno accolto un pò come un fratellino minore, ero il più giovane di una squadra con tanti argentini che avevano accumulato la loro esperienza. Mi hanno fatto diventare quello che sono adesso. Non era facile stare in un altro Paese, con un’altra cultura, a 21 anni, però ho sempre avuto molta fiducia in me stesso. Sapevo della mia forza, del mio calcio, che potevo fare bene a Catania. Sono stati tre anni meravigliosi, i più importanti ella storia del Catania dove abbiamo battuto il record di punti in Serie A e siamo stati vicini all’Europa proponendo un calcio molto bello ai tempi di Montella e Maran. Portare il Catania in Europa sarebbe stato bellissimo. Poi la gente mi ha mostrato sempre un attaccamento incredibile. Mio figlio, il più grande, è nato a Catania e tifa per le squadre in cui ha giocato il papà. Mi piacerebbe tornare in città con lui. Resterà sempre un posto nel mio cuore tutta la provincia di Catania. Noi siamo molto orgogliosi di portare la piccola bandiera catanese in giro per il mondo. Il legame con la città e la gente è forte, dopo tanti anni c’è sempre qualche tifoso etneo che mi ferma ovunque ricordando la mia esperienza al Catania e quegli anni d’oro vissuti”.

“All’arrivo a Catania mi dissero che l’obiettivo fosse la salvezza. Io provenievo da una big che lottava per grandi traguardi in Argentina, non riuscivo a capire perchè dovevamo lottare per salvarci. Non mi entrava in testa. Volevo vincere tutte le partite e questa cosa al primo anno mi faceva arrabbiare tanto. A partire dal mio secondo anno con Montella in panchina e l’arrivo di giocatori come Almiron e Legrottaglie è cominciata a cambiare la mentalità, sapevamo di essere una squadra tosta, con qualità. Piano piano ci siamo resi conto che potevamo arrivare un pò più in alto. Il terzo anno eravamo consapevoli di essere una squadra forte e di potere ambire a qualcosa di più importante. Il 70% dei punti li facevamo giocando in casa. Al ‘Massimino’ sapevamo che era molto difficile per gli avversari fare punti perchè la gente spingeva tanto, faceva sempre caldo, c’era quest’atmosfera molto difficile anche per le big del campionato“.

“In tanti dicono che c’è una forte somiglianza tra l’Argentina e Catania? Come popoli siamo uguali nel dimostrare affetto, subito ti apriamo le porte delle nostre case. Arrivando a Catania, bastava un’ora e la gente t’invitava a mangiare, a fare colazione, ti portava a conoscere i posti, per noi era importantissimo questo. Nel tempo libero andavamo a Taormina, io abitavo sul Lungomare, prima vicino ad Acitrezza, poi quasi tutti stavamo in un residence nei pressi di San Gregorio. A volte tra noi argentini ci si riuniva con le famiglie tutti insieme, ci trovavamo a fare una grigliata tra argentini in 50 persone. Era un pò come stare a casa. Questa unione importante che avevamo tra di noi la riportavamo in campo la domenica“.

“‘Pata’ Castro suonava la chitarra e il piano, io avevo un rapporto – anche adesso – di amicizia pura e fratellanza con Pablo Alvarez. Ognuno di noi aveva la propria personalità. Almiron era uno dei più seri, però lo facevamo rendere pazzo. Lui era sempre lì, a giocare come un matto alla playstation, io mi mettevo davanti alla tv, gli spegnevo la playstation, praticamente mi voleva ammazzare (ride, ndr). Faceva solo questo in ritiro. A me e Pablo piaceva guardare film, Castro suonava il piano con Rolin. Eravamo sempre assieme a scherzare, giocavamo a ping pong con Bergessio”.

Barrientos per me era un fenomeno. Se non avesse avuto i problemi fisici riscontrati avrebbe potuto fare una carriera molto più importante, gli anni lì a Catania abbiamo fatto molto bene, ci trovavamo a occhi chiusi in campo, quando stava bene ci metteva la palla dove voleva lui, era impressionante il ‘Pitu’, anche in allenamento. Aveva personalità, carattere”.

“E’ stato importantissimo per me, all’arrivo in Italia, un allenatore come Giampaolo. Un maestro, fondamentale per la mia crescita. Tatticamente mi ha dato tantissimo, difensivamente mi ha fatto migliorare. Montella mi ha dato fiducia sulla fascia sinistra, mentre con Simeone e Giampaolo venivo schierato sulla destra, poi Maran mi ha dato consapevolezza trattandomi benissimo, persona straordinaria. Ho avvertito tanta fiducia disputando con lui la migliore annata in maglia rossazzurra”.

“Seguo il Catania sui social, quando c’è la possibilità di assistere a qualche partita del Catania lo faccio. So che è dura la Serie C. Molto. Speriamo prima o poi che il Catania possa almeno arrivare in B, perchè una piazza come Catania merita di stare minimo in Serie B. Se sei lì è perchè hanno fatto le cose molto male, la speranza è che la nuova dirigenza sappia costruire una rosa competitiva facendo sognare la città“.

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