VIAGGIO NELLA STORIA DEL CATANIA: “Baffo” Labrocca, vero combattente e falcata instancabile

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Il cuore del Calcio Catania ha smesso di battere ma ora ci si prepara ad una ripartenza con Ross Pelligra al timone rossazzurro con la SSD Catania. Attraverso questa rubrica intendiamo effettuare un viaggio nella storia del Catania. Una storia fatta di gioie, dolori, emozioni, momenti delicati e di grande entusiasmo.

In questi giorni abbiamo parlato dell’inizio di una storia rossazzurra, quando il Catania assunse la denominazione di Società Sportiva Catania prima, di Associazione Fascista Calcio Catania dopo, fino ad arrivare alla nascita del Club Calcio Catania e del Calcio Catania SpA. Andiamo avanti con l’81/o appuntamento della nostra rubrica, soffermandoci sulla figura di Domenico Labrocca.

“Un giovanotto con baffoni da guerriero indossa per la prima volta una casacca a strisce verticali rosse e azzurre con un enorme “2“ cucito sulle spalle. Esteticamente poco raffinato, ma dotato di grande carica agonistica, è un arcigno difensore alto 170 centimetri per 68 chilogrammi di peso”, così lo definì anni fa Alessandro Russo, nipote di Angelo Massimino. Nato all’Asmara, in Eritrea, lo si ricorda per il temperamento di un vero combattente e l’instancabile falcata in progressione.

“Ricordo per filo e per segno – parola di Mimmo Labrocca – il debutto in rossazzurro. Mercoledi 27 agosto ’75, stadio Sant’Elia di Cagliari: quel Catania aveva riconquistato la B due mesi prima e il mio sorvegliato speciale era il numero undici ‘Rombo di tuono’ Gigi Riva. Finì zero a zero e – seppur per una gara di Coppa Italia – mi ritenni soddisfatto della mia prestazione. Ero giunto alle falde dell’Etna desideroso di diventar qualcuno in campo calcistico nazionale, dopo un bel campionato disputato nelle fila del Siracusa condito da otto reti realizzate. Del calore della mia nuova città sapevo già tutto; di fuochi d’artificio, tric-trac, frizzi e lazzi sino a notte da San Cristoforo a Picanello all’indomani della promozione nella stagione precedente, mi raccontavano sera per sera i Ciceri e i Malaman”.

“Tra i cadetti avevo debuttato con la Casertana e, se vogliamo, nel mio palmarès personale c’era persino uno scudetto. Proprio così; pur senza esser mai schierato in incontri di campionato, nella stagione ‘1973-74 avevo fatto parte della rosa di prima squadra della Lazio che si era aggiudicata il titolo di campione d’Italia. Era il periodo in cui, in seguito all’ennesimo aumento del prezzo del petrolio, il governo aveva appena decretato i provvedimenti di austerità. Per diminuire i consumi di carburante i giorni festivi nelle strade non circolavano auto né motociclette. In breve, la domenica andavo allo stadio con il pullman della società che passava dove abitavo. Una volta non sono andato e abbiamo perso in casa. Morale, il martedì alla ripresa degli allenamenti la colpa della sconfitta fu addebitata proprio a me”.

“Tra campionato, spareggi e gare di Coppa Italia, la maglia del Catania l’ho indossata in più di duecento occasioni ufficiali. Non posso negare che i flashback che porterò sempre con me sono legati alle due promozioni conquistate ma ricordo con struggente nostalgia anche il presidentissimo Massimino. La partita di cui con maggior piacere conservo memoria è quella vinta negli spareggi all’Olimpico di Roma contro il Como. Di tanto in tanto ripenso al gol contro il Campobasso con un bolide da fuori area dopo una cavalcata di sessanta metri in un Cibali strapieno o a quello che ho insaccato deviando il calcio d’angolo di Nicola Fusaro per battere con il minimo scarto il Modena nel gennaio del ’77. Pochi mesi dopo saremmo retrocessi in C e ancora oggi non so darmene una spiegazione”.

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