ESCLUSIVA – Lugnan: “Catania, tutti leader in campo per vincere il derby. Tifosi catanesi e palermitani, c’è una differenza…”

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Luca Lugnan

Tra i principali doppi ex di Palermo e Catania figura certamente Luca Lugnan che, con i suoi gol, ha contribuito ad alimentare sogni e speranze delle opposte tifoserie. Lunedì sera si giocherà l’atteso derby di Sicilia e Lugnan è intervenuto ai microfoni di TuttoCalcioCatania.com per commentare i temi principali che lo riguardano, anche in relazione ai suoi trascorsi da attaccante rossazzurro e rosanero.

Palermo-Catania in diretta televisiva su Rai Sport ma senza pubblico…
“Magra consolazione il fatto che il derby venga trasmesso televisivamente. Disputandolo a porte chiuse non c’è lo stesso gusto. Non ha lo stesso sapore e valore. Io non so come facciano a livello mentale i calciatori in questo momento a riuscire a dare il 100% perchè la componente pubblico nel calcio è fondamentale, ti dà quegli stimoli, quell’entusiasmo e lo spirito di sacrificio per dare tutto in campo. Magari in molti calciatori la cosa è innata, ma un derby senza il pubblico che ti trascina scende di valore. E’ veramente triste perchè il derby è anche una gara di tifo con striscioni, coreografie, sfottò. Il calcio perde veramente tanto”.

Cosa rappresenta ed ha rappresentato il derby per Luca Lugnan?
“La partita clou che tutti i tifosi aspettano e dove i calciatori memorizzano le date di andata e ritorno. Non importa la classifica, la situazione societaria, la condizione fisica. E’ la gara in cui si azzera tutto ed il risultato va oltre qualsiasi problematica. Il derby è sentito da tifosi, città, giornalisti, mass media, società e ci si prepara in maniera particolare. Avvertendo l’ansia positiva per l’arrivo della partita dell’anno, dando il massimo per vincerla. Non ti passa sicuramente per la testa l’idea di pareggiarla, giochi fino al 95′ per i tre punti. Non ci sono calcoli. Poi nel calcio succede di tutto, alla fine di una dura battaglia”.

Quali emozioni hai provato vestendo la maglia di entrambe le squadre siciliane?
“Molto particolare. Sapete quanto mi sia sentito – e sono tuttora – legato ai colori rossazzurri. Lasciai Catania ma non sarei mai voluto andare via. Mi è dispiaciuto tanto. Quando indossai la maglia del Palermo e venni al Cibali, ricordo un riscaldamento effettuato sotto i fischi di 20mila spettatori. E’ stata un’emozione incredibile ma al tempo stesso bella perchè difendevo i colori di un’altra città importante. Ero orgoglioso di avere militato tra le fila del Catania, altrettanto di indossare la maglia rosanero. E’ stato un privilegio per me avere rappresentato le due città più importanti della Sicilia. Quei fischi mi caricavano, non ero il tipo che si faceva intimidire. Col tempo però la gente ha capito la situazione. Io non sono stato riconfermato da Angelozzi assieme ad altri miei compagni di squadra che avevamo la maglia rossazzurra cucita addosso. La vita, però, andava avanti. Avevo una famiglia, io dovevo strappare un contratto e per fortuna Morgia mi chiamò a Palermo”. 

In cosa differiscono i tifosi del Catania da quelli del Palermo?
“Innanzitutto ti dico che avevamo deciso di comprare casa ad Acireale se fossi rimasto al Catania. Era quello che volevo, poi ho vissuto un anno a Palermo e lì la vita non è calda come a Catania, anche a livello di tifoseria. Ho percepito una differenza. A Palermo hanno un pò la puzza sotto il naso, essendo il capolugo di Regione. I tifosi del Catania in tutte le categorie vanno ovunque, vivono l’amore per la propria squadra in maniera viscerale, totole. Poi se a Palermo sei bravo e le cose vanno per il meglio, la gente riempie lo stadio. Ma non ho visto lo stesso calore di Catania, me ne accorgevo anche andando in giro per la città. Uno che veste la maglia del Catania e quella del Palermo avverte questa differenza”.

Eventuale ritorno a Catania o Palermo, dove andresti?
“Se dovessi scegliere, il mio sogno è sempre quello di allenare il Catania. Compirò 52 anni a gennaio, da anni alleno. Ho le spalle larghe, competenza ed esperienza, avendo conseguito il patentino Uefa A anche se non ho ancora allenato tra i professionisti. Di Catania conosco bene ambiente, aspettative, città. Avere fatto il calciatore a Catania e allenare la squadra rossazzurra sarebbe il massimo. Bisognerebbe che qualcuno si ricordasse di me, io sono un cane sciolto. Nel calcio è anche un questione di amicizie, agganci. Adesso mi trovo in un posto sperduto del nord-est Italia, sono più conosciuto al Sud che al Nord e mi viene difficile decollare. L’anno scorso ho provato un’esperienza con la Serie A femminile, adesso ho deciso di restare a casa con la famiglia anche perchè, a seguito di questi lockdown, non è semplice. Do una mano alla Gradese Calcio, vediamo il prossimo anno se questo incubo Covid finirà trovando una soluzione”.

Al Mister Raffaele piace molto il 3-4-3. Qual è il tuo sistema di gioco preferito?
“Ho avuto più di 45 allenatori in carriera, i sistemi li ho fatti e studiati tutti. Il 3-4-3 l’ho praticato con Morgia, ma io preferisco giocare di reparto a quattro dietro, spingere molto con i terzini, essere propositivo. Sono abbastanza pratico e pragmatico, se posso costruire costuisco. Non mi piace subire il gioco ma aggredire e non farmi mettere i piedi in testa da nessuno, del resto non lo facevo neanche da calciatore. Non accetto di arrivare dopo nei contrasti. Mi piace imporre il gioco, dominare se posso, all’occorrenza sfruttare le ripartenze. Studio tanto gli avversari ed i loro punti deboli, lavoro sui propri punti di forza. Nel 2020 devi essere capace di adottare più moduli, attaccare in un modo e difendere in un altro. Mi piacciono determinate caratteristiche nei giocatori. Fighette ne posso sopportare una in squadra. In una piazza come Catania, se non hai giocatori di spessore umano e caratteriale fai fatica a vincere. Devi dimostrare che dai anche l’anima sul rettangolo verde e l’allenatore è chiamato a trasmettere la propria mentalità ai calciatori. Serve gente con la cultura del lavoro. Mi piacerebbe allenare una squadra forte e giocare per vincere”.

Magari un giorno lavorando proprio a Catania con Di Julio, Monaco e Tarantino?
“Sarebbe un bello staff… certo che ci pensiamo. Attendiamo un segnale. Non ci sarebbero trattative. Per me puoi mettere giù il contratto, vengo e firmo. Al di là del ruolo, mi trasferirei anche con la famiglia in Sicilia. Sarebbe finalmente l’occasione buona per vivere alle pendici dell’Etna, come avrei tanto desiderato nelle vesti di calciatore”.

Derby crocevia importante per il Catania?
“Vincendolo, guarderesti le cose in una luce diversa. Potrebbe anche essere una grossa spada di Damocle in caso di sconfitta. Vincendo il derby puoi farti i muscoli, aumentare l’autostima e riprenderti. Sarebbe importantissimo. La squadra deve presentarsi serena e l’allenatore fare un pò il Pierino Cucchi della situazione, il generale e condottiero ma anche pompiere. Se vai a caricare la squadra come fosse la partita della vita per tutta la settimana non va bene, diventa molto pericoloso. Anche perchè il derby si carica da solo. Va analizzato come ci arrivi. Partendo dalla prestazione del singolo, sommata a quella degli altri componenti della squadra. Se tu hai 3-4 calciatori che non arrivano al top, già ti condiziona la prova dell’intera squadra. Il giocatore senza palle potrebbe inconsciamente ricercare l’alibi della mancanza di pubblico. L’allenatore li deve sfondare tutti in questo senso, perchè anche senza pubblico i tifosi ti aspettano a Catania con la vittoria in tasca e tu devi dargliela in tutte le maniere. Va fatto passare un messaggio del tipo «quando non ce la fate più vi porto in braccio, dovete stramazzare al suolo perchè questa gara vale una stagione». La carichi prima di giocarla, massimo il giorno prima ma il resto della settimana devi sfruttarla per valutare la condizione fisica e mentale, far capire a chi non ha mai fatto una partita del genere l’importanza della stessa. E’ un lavoro difficile. Io so bene cosa vuol dire questo derby. I baldi giovani poi devono mettere entusiasmo, gamba, voglia, mi riferisco anche ai catanesi del gruppo. E’ il momento giusto per salire in cattedra ed essere leader. Tutti. Anche chi, magari, per settimane è rimasto in panchina ed ha una grande occasione per dimostrare il proprio valore”.

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