Avventura al capolinea. Il Catania aveva la possibilità di scrivere nuove pagine di storia in questi playoff. Il campo, però, ha detto che nel momento di maggiore esaltazione non c’è più nulla da fare. Il doppio confronto Catania-Pescara si conclude in parità nei 180′, 2-2, ma a norma di regolamento sorridono i biancazzurri in virtù del miglior piazzamento in classifica. Che sia giusto o sbagliato, il rettangolo verde ha sentenziato così. E bisogna accettare il verdetto.
Resta il rammarico soprattutto per la sconfitta casalinga maturata all’andata, che ha confermato le difficoltà incontrate spesso tra le mura amiche per la squadra rossazzurra che, viceversa, in trasferta ha dato dimostrazione di avere una certa continuità di prestazioni e risultati. Prima dell’inizio dei playoff nelle nostre pagine abbiamo più volte sottolineato l’importanza di sfruttare l’effetto Massimino come fattore potenzialmente in grado di trascinare il Catania. I rossazzurri sono venuti meno proprio in casa, malgrado la spinta incessante di un tifo da A.
Opinionisti e addetti ai lavori ritengono che non tutti i giocatori fossero in grado di reggere le pressioni del Massimino. C’è chi, invece, sostiene che il Catania abbia reso meglio fuori casa per specifiche caratteristiche tecnico-tattiche e stile di gioco che rendevano la squadra più performante in trasferta (forse è questa la versione più aderente alla realtà). Sta di fatto che l’Elefante è stato più propositivo lontano dal Massimino anche in termini di reti all’attivo in campionato: appena 18 gol in casa e 31 fuori (migliore attacco esterno del girone C).
Il “mal di casa” ha influito in misura notevole anche sul risultato finale di Catania-Pescara, venendo meno quella capacità di osare, di rischiare, di avere più coraggio tra le mura amiche. Qui è mancato il definitivo salto di qualità di una squadra che, comunque, negli ultimi mesi si è ricompattata dando segnali confortanti per il prosieguo. L’atteggiamento, lo spirito di sacrificio collettivo, il senso di appartenenza andati a svilupparsi lungo il percorso – grazie anche al recupero di quasi tutti gli infortunati – hanno cementato il gruppo stringendosi nelle difficoltà, consolidando i valori di uno spogliatoio che ha imparato a ragionare con il Noi, prevalendo sull’Io.
Le lacrime all’Adriatico di tanti giocatori rossazzurri assumono, in questo senso, un valore molto significativo. Perchè vuol dire che davvero, nel tempo, si è riusciti a costruire qualcosa di speciale nel rapporto tra i giocatori e nell’ambito di una piena conoscenza dell’ambiente. Davvero la squadra credeva nella realizzazione di un’impresa. Se questo processo evolutivo fosse partito qualche mese fa, al netto di pregi e difetti, magari staremmo parlando di qualcosa di diverso. Non lo possiamo sapere con certezza.
Di sicuro, nel contesto di una stagione conclusasi con un epilogo deludente, oggi si apprende che il gruppo c’è. Da qui, probabilmente, si dovrà ripartire. Dalle lacrime amare di una squadra che, attraverso le parole dello stesso Matteo Di Gennaro via social, ha lanciato un messaggio alla società: quello di concedere una seconda possibilità a questi giocatori, senza smantellare l’organico ma potenziandolo in maniera opportuna. Per fare in modo che, l’anno prossimo, le lacrime versate a Pescara siano soltanto lacrime di gioia.
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