VIAGGIO NELLA STORIA DEL CATANIA: Marcoccio, l’uomo dal braccio d’oro

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Il cuore del Calcio Catania ha smesso di battere ma ora ci si prepara ad una ripartenza con Ross Pelligra al timone rossazzurro. Attraverso questa rubrica intendiamo effettuare un viaggio nella storia del Catania. Una storia fatta di gioie, dolori, emozioni, momenti delicati e di grande entusiasmo.

In questi giorni abbiamo parlato dell’inizio di una storia rossazzurra, quando il Catania assunse la denominazione di Società Sportiva Catania prima, di Associazione Fascista Calcio Catania dopo, fino ad arrivare alla nascita del Club Calcio Catania e del Calcio Catania SpA. Andiamo avanti con il 79/o appuntamento della nostra rubrica, soffermandoci sulla figura di Ignazio Marcoccio, nato a Catania il 7 novembre 1913.

Un articolo a firma di Tony Zermo per il quotidiano La Sicilia risalente a novembre 2013 descrive il personaggio:

“Alcune delle cose da lui realizzate come sindaco, o come assessore, o come presidente del Catania Calcio, o in altri ruoli sono ancora parte del panorama cittadino. Era un uomo normale che è diventato straordinario perché quella normalità che lui incarnava fatta di dedizione, di altruismo, di senso del dovere, di passione civica senza nulla mai chiedere, nella società di oggi è merce rara. Era un uomo semplice, un catanese di razza, come suo fratello Umberto scomparso prima di lui e che aveva una singolare esclamazione scherzosa: «Madonna di lu pitroliu!»”.

“Ignazio era rimasto senza il braccio destro perché a quattro anni era entrato nella fabbrica di famiglia (apparecchiature metalliche) in corso delle Province e aveva messo la mano sotto una pressa che si era messa in movimento all’improvviso. Avvenne lo schiacciamento di alcune dita, poi sopravvenne una cancrena e in ospedale gli tagliarono l’avambraccio. Ma la sua volontà era così forte che pur senza l’uso della mano destra riusciva a legarsi le scarpe e a farsi il nodo della cravatta, diventò anche campione regionale di tamburello, e allora non c’era il campionato per paranormali. Faceva praticamente di tutto con il solo braccio sinistro, aggiustava le cose che si rompevano in casa, sistemava orologi, serrande, lavandini, solo a tavola si faceva tagliare la carne e il pane”.

“Era l’uomo dal braccio d’oro che non solo aggiustava tutto in casa, ma faceva lo stesso in politica e sul piano del fare. Per un lungo periodo non guidò auto, tra l’altro suo padre l’aveva mandato ad Alessandria d’Egitto per controllare una fabbrica di famiglia che produceva mobili per ufficio e lì era stato per qualche anno imparando l’arabo e studiando anche il francese. Poi negli anni ’50 il figlio Raffaele gli procurò una delle rare auto con il cambio automatico e con il freno a mano che era stato spostato a sinistra.

“Era pronto ad aiutare gli amici che lo meritavano, sua moglie gli diceva: «Meglio averti per amico che per marito, perché per gli amici ti fai in quattro». Conosceva il valore dell’amicizia e non dimenticava mai nessuno, ma non sopportava gli scansafatiche. Lui è stato tutto, delegato del Coni, presidente del Catania, anche assessore comunale ai Lavori Pubblici dopo l’arresto del vicesindaco Antonio Succi. Realizzò la piscina comunale, il campo di atletica leggera, il Palazzetto di basket di piazza Spedini, la palestra del Coni per l’atletica pesante. E si dovette occupare pure del Teatro Stabile di Catania. Ai tempi di ‘Catania Milano del Sud’ Ignazio Marcoccio era diventato un personaggio popolare”.

“«Per dire com’era mio padre – racconta il figlio Raffaele – faccio solo un esempio: un giorno vennero a casa dei manager di una società petrolifera che avevano un progetto e chiesero a mio padre cosa voleva per farlo approvare. E lui rispose: «Se il progetto è regolare e serve alla città lo farò approvare in 15 giorni senza nulla in cambio, altrimenti mi potrete fare tutte le promesse di questo mondo, ma non ci sarà nulla da fare”». Di lui e del Catania s’è parlato a lungo, erano i tempi de «clamoroso al Cibali» e del sodalizio con Michele Giuffrida, il tesoriere del Catania, e con l’allenatore Carmelo Di Bella, un terzetto che prendeva i giocatori per pochi soldi e per tante amicizie”. 

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